Se ne è andato in silenzio, quasi in contrasto col suo modo di essere, sempre in prima linea, rumoroso e mai scontato.
Maurizio Mosca non era un giornalista come gli altri, non rientrava in una categoria facilmente classificabile, era un unicum, un pezzo introvabile di una grande collezione, quella degli estrosi, di coloro che non si accontentano di vivere, ma scelgono di aggredirla la vita, di assaporarla in tutte le sue sfumature e a tutte le latitudini.
Trash, mai banale, provocatorio, a volte pungente, incapace di non schierarsi, di non dire la propria.
Adorava assumere posizioni, sostenerle, battersi per le sue idee.
Amava l’ironia, era un grande amante della risata e della battuta come mezzi per sconfiggere qualsiasi dolore e qualsiasi pregiudizio.
E’ stato il simbolo di un certo modo di fare televisione.
Ti costringeva a schierarti, o lo amavi o lo detestavi, o ne apprezzavi l’irrequieta follia o ne condannavi gli eccessi.
Chi ci ha lavorato a fianco come Luca Serafini ne ha descritto un’intensità umana e una predisposizione a farsi amare che si possono riscontrare solo in pochi uomini.
Era innamorato della vita e del calcio, fremeva per i numeri dieci, la maglia che per lui dava un senso a quella palla che rotola lungo il rettangolo verde, il simbolo della fantasia, ingrediente senza il quale non avrebbe saputo vivere.
Lascia il vuoto più grande, quello di chi non ha mai badato a come appariva, perché conquistava il pubblico con la sua spontaneità e la sua limpidezza.
Sorrideva sempre.
Non si stancava mai di dedicarsi al suo lavoro.
Anche negli ultimi suoi giorni di vita non ha mai rinunciato a quel sorriso e a quell’amore viscerale per il lavoro e per il calcio.
La televisione con lui perde una delle sue colonne storiche, un uomo fuori dagli schemi che aveva conquistato il pubblico con la stessa aria bonaria di un amico che si incontra al bar.
Ha lasciato il segno, ci mancherà!
Massimo Bambara |
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