C’è una casa,dove sono rinchiusi un numero imprecisato di giovani, variamente combinati.
Farlocchi, riccioloni, bonazze, insipide, ogni tanto si vede un neurone che corre follemente da una stanza all’altra tra terrore e desolazione.
È solo, e non sa dove si trova.
Per il resto ci sono cristiani e pathos, più o meno di plastica entrambi.
Sono incantato...
All’inizio mi interessava il profilo scientifico della cosa, speravo che il mercato fosse un po’ più sadico della deontologia nella ricerca psicologica, e speravo davvero che ficcassero una serie di cristiani in uno spazio chiuso per tot mesi senza contatto alcuno con l’esterno e le telecamere puntate sul loro spontaneo scannamento reciproco.
Utopistico tutto sommato, ma li per li ci avevo creduto.
A quel punto la cosa interessante non era il plot, ma Hobbes e l’annullamento del contratto sociale, lotte selvagge sui materassi, stato ferino, gente che avrebbe cominciato a mangiare colle mani, e insomma sette otto processi per omicidio.
Il mercato però è si, più sadico della ricerca scientifica, ma in modo meno appariscente.
Una grossolana simulazione dell’esperienza affettiva.
Al pubblico del Grande Fratello, è proprio questa grossolana miscellanea, ad appassionarlo.
D’altra parte, non è una novità nella storia dello spettacolo: è anzi, quasi unritorno all’origine, agli schemi della commedia dell’arte.
All’origine il teatro si faceva sulle gradinate delle chiese ed era una faccenda di poveri itineranti, aveva qualcosa senza dubbio di metafisico e invasato che oggi non solo non ha il Grande Fratello, ma non può avere la produzione artistica di quasi tutt’un epoca.
Ma come il Grande Fratello oggi, la commedia dell’arte aveva dei personaggi fissi – la carina, il ricco sbruffone, il furbetto, il sensibile,lo scemo.
Un canovaccio e una recitazione non canonizzata in cui si mescolavano, con grandissima confusione, sentimenti veri e simulazione.
Non erano veri attori, non erano veri soggetti sociali,non appartenevano al mondo civile,non appartenevano al mondo dello spettacolo.
Si ritagliavano un’esistenza romantica e straziata sui loro carrettini, spostandosi da una chiesa all’altra inscenando amori finti colorati di amori veri,amori veri inscenati da amori finti.
Così nel Grande Fratello.
C’è il canovaccio, ci sono i personaggi fissi, c’è l’altalena tra vissuto e recitato, in un delirio di mancato controllo sul proprio destino.
E’ illuminante.
Se Heidegger avesse visto almeno una puntata avrebbe riscritto tutto il 16 paragrafo di “Essere e Tempo”.
E’ la cura come l’essere dell’esserci.
E’ geniale,una sassata.
E' il compito del pensare che e' cambiato
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