Rimanendo sul filone degli anni settanta delle puntate precedenti, questa settimana puntiamo i riflettori su uno dei personaggi più discussi della nostra storia, nonostante la sua esperienza rossonera sia durata solo lo spazio di quattro anni.
La storia di Albino Buticchi merita di essere raccontata, perché è il racconto di una vita vissuta pericolosamente sempre al limite, caratterizzata spesso da “ciò che poteva essere e non è stato”, tipico di chi possiede una propensione al rischio superiore alla media.
Sarebbe potuto passare alla memoria come il Presidente della Stella (e, di conseguenza, visti gli altri trofei, come uno dei Presidenti milanisti più vincenti), ed invece è ricordato come il Presidente della “fatal Verona” e come colui che tentò di compiere uno dei più grandi sacrilegi della storia rossonera, quella di cedere il Capitano Gianni Rivera.
Del resto lui agli azzardi era abituato, visto che una delle sue passioni più grandi era il casinò, il poker e la roulette.
Albino Buticchi (classe 1926, nativo di Cadimare, provincia di La Spezia) veniva da una famiglia di gente umile, ma ebbe sempre il pallino dell’azzardo (appunto) e la voglia di fare tanti soldi.
Dopo una deportazione in Germania durante la guerra, il primo affare lo fece con una fornitura di calzettoni militari rimediata su una nave militare.
Ma il vero colpo lo fece coi carburanti, quando nell’epoca della grande ricostruzione cominciò il trasporto via mare di quella nafta di cui il paese aveva bisogno.
Fu solo l’inizio, che da lì a poco lo portò a diventare negli anni ’60 il responsabile per l’Italia della British Petrolium, tra i concorrenti più agguerriti della famiglia Moratti.
A Buticchi piaceva la bella vita, e, con la condizione raggiunta, cominciò a permettersi le belle case, gli yacht e, soprattutto, le belle automobili.
All’automobilismo si dedicò quasi da professionista, partecipando al campionato italiano GT e sfiorando addirittura la F1 con l’Alfa Romeo.
A quel punto gli rimaneva un ultimo sfizio, quello di entrare da protagonista nel mondo del calcio, sport che aveva praticato da giovane come terzino dello Spezia.
Gianni Rivera, Capitano e bandiera milanista, lo introdusse nell’ambiente rossonero e lo spinse ad entrare in società.
Così nel 1972 divenne vicepresidente, ma essendo “quello che ci metteva i soldi”, in estate chiese, ed ottenne, di assumere in prima persona la carica di Presidente succedendo a Federico Sordillo.
Il Milan era una squadra competitiva reduce dalla vittoria in coppa Italia, ma Buticchi decise che bisognava presentarsi alla grande, e così regalò ai tifosi il colpo Luciano Chiarugi, il “cavallo pazzo” che strappò all’agguerrita concorrenza dell’Inter di Fraizzoli.
Quella prima stagione da Presidente fu lo specchio della sua esperienza nel mondo del calcio e di tutta la sua vita: un alternarsi continuo di grandi gioie e di delusioni immense.
Sotto la guida del duo Cesare Maldini-Nereo Rocco, la squadra disputò una annata incredibile, dimostrandosi competitiva su tutti i fronti, al punto da arrivare in fondo a tutte le competizioni.
Il Milan è ad un passo dalla storia, ed il suo condottiero Albino Buticchi è l’uomo più felice ed invidiato del calcio italiano.
Ma come spesso succedeva al tavolo verde, il destino stava per voltargli clamorosamente le spalle.
Il 16 maggio 1973, a Salonicco, i rossoneri conquistano la Coppa delle Coppe contro il Leeds grazie ad un gol del “suo” Chiarugi, e quattro giorni dopo (il 20 maggio) il Milan è pronto “a conquistare” la vittoria più desiderata, lo scudetto della Stella.
Ormai la festa è pronta e lo stadio Bentegodi di Verona è tutto uno sventolio di bandiere rossonere, ma la squadra è stanca, troppo stanca, e “lascia” sul terreno uno scudetto già vinto. Verona diventa “fatale”, e la vita di Albino Buticchi cambia per sempre.
La voglia di raddrizzare la situazione in prima persona lo porta a fare delle scelte impopolari e dolorose: cede autentiche bandiere dei tifosi (Prati e Rosato), cambia una marea di allenatori, accantona il monumento Rocco ed arriva, durante un’intervista, a dichiarare ciò che nessun tifoso milanista avrebbe mai pensato di sentire, e cioè che “sì, lo scambio tra Rivera e Claudio Sala si può anche fare!”.
Delitto di “lesa Maestà”!
I tifosi milanisti insorsero nei confronti del Presidente e si schierarono al fianco del loro Capitano.
Gianni Rivera, indignato, non si presentò per alcuni giorni agli allenamenti, e Giagnoni lo mise fuori squadra.
Lo stesso Rivera, che solo qualche anno prima era stato l’artefice dell’ingresso di Buticchi in società, decise di muoversi per estrometterlo una volta per tutte, comprandosi di fatto la squadra.
Grazie all’intervento di qualche amico (Jacopo Lanfranchi in testa), convinse Buticchi a cedere il Milan.
A convincelo, oltre ai soldi, fu anche il timore che qualcuno attentasse all’incolumità sua e dei suoi familiari (addirittura nel maggio del ’75 gli spararono diversi colpi di pistola davanti alla sua villa).
Finiva così, senza gloria ed in modo traumatico, l’interregno di Albino Buticchi alla guida del Milan.
Ma la vita gli avrebbe riservato ancora la parte peggiore.
L’orgoglio lo portò a cercare delle rivincite (tentò avventure calcistiche nel Toro e nella Roma), ma nella sua vita cominciarono a sommarsi una serie di sconfitte (negli affari ed in amore) che lo spinsero verso l’isolamento e la depressione, e le ingenti perdite al gioco fecero il resto.
La sua vita ormai era impossibile, e sull’orlo del crack decise di farla finita: nel 1983 si spara un colpo in testa, ma si salva e rimane cieco.
Nonostante i buoni propositi (che lo portarono anche a riconciliarsi con Rivera) non riuscì a separarsi dal gioco, ed una sera del 1992, dopo aver perso 400 milioni di lire, decise, per la seconda volta, di ammazzarsi, gettandosi dalla finestra: cade e si frattura il femore.
Un tormento!
L’ultimo atto fu la decisione dei figli di interdirlo: degli immobiliaristi senza scrupoli tentarono di acquistare la sua splendida villa di Lerici per una cifra dieci volte inferiore al suo effettivo valore.
Era solo l’ultimo episodio di una vita incredibile, vissuta sempre al limite!
Al Milan restò sempre legato, al punto che le cronache raccontano che negli ultimi anni della sua vita (morì a La Spezia il 13 ottobre 2003), nonostante la cecità, si faceva accompagnare da qualche amico a San Siro per farsi raccontare la partita dal vivo e rivivere, in qualche modo, il clima degli “anni d’oro”.
Avrà pure commesso degli errori, ma se non è amore questo!!!
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