Il polmone rossonero!
Per un sacco di tempo ho creduto che fosse uno straniero, per la sua faccia e per quella chioma super-bionda, per non parlare poi del nome che portava, Ruben!
In realtà Ruben Buriani era un italianissimo ragazzo emiliano della provincia ferrarese (di Portomaggiore, per la precisione) che scorrazzava instancabilmente lungo la fascia per tutti i novanta minuti della partita senza fermarsi mai.

Un moto perpetuo Ruben, centrocampista dotato, oltre che da un fisico da “maratoneta” (come spesso veniva anche soprannominato), di una buona tecnica individuale e, soprattutto, di una grandissima capacità di muoversi senza la palla.
Del resto che fosse un giocatore tatticamente intelligente è provato dal grande affidamento che faceva su di lui un maestro come Nils Liedholm.

Ruben era il quattordicesimo ed ultimo figlio di una famiglia molto umile, e questo contribuì non poco a forgiare il suo carattere ed il suo spirito di sacrificio; non perse la sua grande umiltà nemmeno quando era diventato ricco e famoso, e fu proprio in quei momenti che non dimenticò i sacrifici che la sua famiglia aveva sostenuto per far crescere quella “miriade” di figli (per anni visse a Milano con quello di cui necessitava e mandava al padre il resto del suo stipendio).
Ci mise pochissimo a far innamorare di lui i tifosi del Milan, ma del resto fu un fatto del tutto normale per uno che era abituato ad andare di corsa: il 6 Novembre del 1977,  dopo pochissimi mesi dal suo approdo in rossonero ed al suo primo derby contro l’Inter, si prese “la briga” di far impazzire il suo avversario di turno, il capitano nerazzurro Giacinto Facchetti, di realizzare una incredibile doppietta e di evitare un gol già fatto (del possibile pari) di Pietro Anastasi.
Finì 3 a 1 per il Milan, e quelle prodezze della “pannocchia” rossonera lo fecero entrare subito nel cuore del tifo milanista.

Dopo aver cominciato nelle giovanili della Spal, il direttore sportivo del Monza Giorgio Vitali lo portò al Monza in C, e qui, dopo alcune difficoltà iniziali, fu uno dei protagonisti principali che condusse i brianzoli, guidati da Magni, prima in serie B e poi a sfiorare clamorosamente la promozione in A.

Nell’estate del 1977, a 22 anni, il neo presidente milanista Colombo (che era stato il suo presidente anche a Monza) lo portò al Milan.
Il Milan disastrato della stagione precedente (salvatosi dalla B solo nel finale di campionato) venne affidato per il suo rilancio alla sapiente guida di Nils Liedholm, e Buriani, insieme a Tosetto (suo compagno arrivato da Monza) ed Antonelli furono i rinforzi di quella stagione.
Il rilancio ci fu, ed il Milan, che chiuse il campionato al quarto posto, cominciò a gettare le basi per la “grande conquista” della Stella che avvenne la stagione successiva. Nonostante la giovanissima età, Ruben divenne titolare sin da subito, disputando 26 partite di campionato su 30, ed impreziosendo la sua stagione con 3 gol tutti decisivi (i due del derby di cui abbiamo già detto ed il gol della vittoria 1-2 di Verona alla terzultima giornata, quella dell’esordio in prima squadra del giovanissimo Franco Baresi).

Che Buriani fosse ormai un punto fermo del Milan, lo fece capire subito Liddas all’inizio della stagione 1978/79 affidandogli la maglia rossonera numero 10, quella “sacra” del capitano Gianni Rivera che per diversi mesi restò fuori per infortunio.
“Erano anni che quella maglio numero 10 non correva così tanto!” , fu il commento dell’inimitabile Nils Liedholm dopo avergliela affidata per la prima volta.

La stagione della Stella fu una cavalcata incredibile, e non fu un caso che a dare avvio a quella cavalcata fosse uno che andava al galoppo.
Prima giornata di campionato, a San Siro Milan batte Avellino 1 a 0, gol di Buriani al ’79.
Restò l’unico gol di quel campionato, ma il contributo di Ruben fu straordinario: 29 presenze su 30 totali e buon contributo anche di assist (su tutti uno a De Vecchi nel derby ed uno, importantissimo, per Novellino nella decisiva vittoria per 2-1 sul Verona).
Per il Milan fu l’apoteosi, e per noi tifosi quei ragazzi che fecero l’impresa divennero degli autentici ed immortali eroi.
E’ il momento più alto della carriera di Buriani, suggellato dalla convocazione e dall’esordio in Nazionale (alla fine, tuttavia, saranno solo 2 le presenze in azzurro).

Quando la stagione successiva il Milan venne coinvolto nello scandalo delle scommesse che lo condusse nel fango della serie B, Ruben Buriani fu uno di quelli che dimostrò  l’attaccamento ai colori rossoneri e si prese sulle spalle il compito di riportare la sua squadra sul palcoscenico che gli competeva.
“Il Maratoneta” fu l’unico giocatore del Milan a disputare tutte e 38 le gare del campionato cadetto, e, compresa, la coppa Italia, fu il giocatore milanista col maggior numero di presenze stagionali.
Le 6 reti segnate rafforzarono ancor di più “il peso specifico” di Buriani nella squadra di mister Giacomini.  

Il ritorno dei rossoneri in A purtroppo fu un disastro, ed un infortunio privò il Milan dell’apporto di Buriani nel momento decisivo della stagione: il 21 marzo 1982 a Como Ruben Buriani uscì per infortunio in quella che sarà anche la sua ultima partita con la maglia rossonera.
Dopo cinque stagioni, 180 partite e 14 reti termina la splendida avventura da calciatore del Milan.

Chiusa l’esperienza milanista, Buriani va a giocare per due stagioni a Cesena, passa nel 1984 alla Roma e la stagione successiva a Napoli.
Dopo cinque partite del campionato 1985/86 un fallo dell’interista Mandorlini pone fine alla sua carriera in modo traumatico.
Ma ancora più traumatico sarà il comportamento della dirigenza napoletana: Allodi e Marino “licenziano” il biondo centrocampista ferrarese comunicandogli la notizia attraverso una semplice e fredda lettera, non trovando neanche il coraggio di comunicarlo personalmente a chi stava cercando con tutte le forze di ritornare calcisticamente a vivere.
Per uno che aveva nella generosità una delle sue peculiartità e che non si era mai risparmiato per le squadre con cui aveva giocato era un colpo bassissimo.
Ruben Buriani proprio non se lo meritava!
Forse anche questa esperienza è servita poi a farlo diventare uno dei dirigenti più apprezzati del mondo del calcio
 
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