Bisognerebbe forse fare un Terza Pagina a puntate per contenere tutto quello che ci sarebbe da dire sul signore in questione: un personaggio infinito, che ha fatto il suo ingresso nel grande calcio più di cinquant’anni fa e che ancora oggi ne è uno dei protagonisti principali.
Sempre con la stessa faccia e con le stesse espressioni, con la stessa grinta, la stessa determinazione, lo stesso entusiasmo e, soprattutto, la stessa passione.
I tifosi della mia generazione l’hanno conosciuto detestandolo fortemente, dal momento che era il condottiero della squadra più odiata dell’epoca, la Juventus.
Insieme all’Avvocato Gianni Agnelli ed al Presidente Gianpiero Boniperti rappresentava la prima “triade” della storia bianconera, simbolo del potere calcistico che arrivava con l’arroganza e con mezzi spesso anche poco limpidi laddove non riusciva ad arrivare sul campo.
Poi, quando abbiamo raggiunto l’età in cui si comincia a sfogliare “la storia” della propria squadra del cuore, abbiamo scoperto che quel personaggio tanto detestato in realtà è stata un’autentica gloria della storia del Milan: stiamo parlando (ormai l’avrete capito) di Giovanni Trapattoni, quindici anni di grande militanza milanista e, comunque, grandissimo personaggio del calcio mondiale, detentore di innumerevoli record forse imbattibili.
Ed allora, proprio in onore dei suoi trascorsi, abbiamo cominciato a guardarlo con occhi diversi.
Un viaggio lunghissimo quello del Trap, cominciato più di cinquant’anni fa da Cusano Milanino e non ancora terminato, un viaggio che sta vivendo la sua attuale tappa nella verde Irlanda alla guida della nazionale.
Ha visto tutto Giovanni Trapattoni, ma, soprattutto, ha vinto tutto.
Nonostante questo non ne vuole proprio sapere di appendere “gli appunti” al chiodo, pensando, a giusta ragione, di poter ancora insegnare a qualche ragazzo qualcosa di quel mondo del calcio che per lui non ha più segreti.
Tuttavia, in questa sede, ci piace sottolineare un aspetto della carriera di Trapattoni: da allenatore è stato un girovago incredibile, ma da calciatore ha praticamente militato in un’unica squadra, e cioè il Milan (a parte la parentesi di 10 partite col Varese nel suo ultimo anno).
Aveva poco più di 17 anni quando entrò per la prima volta a Milanello, e dopo un paio d’anni di apprendistato nel settore giovanile rossonero, nel 1960 si prese quella maglia da titolare che non mollò più per oltre un decennio.
La maglia da titolare non la mollava perché in campo non mollava l’avversario che di volta in volta gli veniva affidato.
Era un mediano con spiccate doti difensive il Trap, un mastino che non faceva passare nessuno, che non temeva nessuno, neanche i più grandi di quegli anni.
Si costruì una fama da marcatore straordinaria, una fama che pian piano si trasformò in leggenda quando nel giro di 10 giorni si prese lo sfizio di annullare i due più grandi giocatori del mondo.
Siamo nel 1963: il 12 Maggio a San Siro si “prende cura” di Pelè nell’amichevole tra l’Italia ed il Brasile (anche se c’è da dire che Pelè giocò solo mezz’ora a causa di condizioni fisiche precarie), ed il 22 Maggio a Wembley, nella finale di Coppa dei Campioni tra il Milan ed il Benfica, ribalta la partita a favore dei rossoneri nel momento in cui passa lui a marcare Eusebio che fino ad allora aveva fatto sfracelli.
Ha solo 24 anni, ma ormai gioca come un veterano, avendo già sulle spalle, tra le altre cose, una partecipazione alle Olimpiadi di Roma nel ’60 ed una ai Mondiali in Cile nel ’62 (anche se per un infortunio non giocò praticamente mai).
Nereo Rocco si costruisce la fama del “catenacciaro”, ma in realtà si permette di mettere in campo un congruo numero di giocatori votati all’attacco perché, al di là della difesa, fa molto affidamento sulle capacità di copertura del Giuanin.
A parte una breve defaillance nella stagione 1965/66 (stagione in cui chiude anche la sua avventura in Nazionale), il Trap partecipa da protagonista a tutte le competizioni ed a tutti i trionfi milanisti di quegli anni, risultando, alla fine, come uno dei calciatori più vincenti e medaglisti della storia.
Due scudetti, due Coppe dei Campioni (a quella di Wembley segue quella di Madrid del 1969), una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, una Coppa Italia: è questo il suo prestigioso palmares da calciatore, condito da 351 presenze ufficiali e 6 gol.
Chiusa l’avventura agonistica (nel 1972 a Varese), il Trap comincia a studiare da allenatore, e lo fa proprio nel Milan. Va in panchina nella stramaledetta partita di Verona il 20 Maggio ’73 (quella in cui perdemmo la Stella) perché Rocco è squalificato e Cesare Maldini è ammalato, e nelle due stagioni successive guida la squadra rossonera in due spezzoni diversi (subentrato a Cesare Maldini nel 1974 nel finale di stagione, ed a Gustavo Giagnoni nell’ottobre del 1975 e sostituito da Barison nel giugno 1976).
Nonostante i buoni risultati conseguiti (porta il Milan in finale di Coppa delle Coppe nel ’74 ed in finale di Coppa Italia nel 1976), a seguito delle controversie societarie che vede coinvolti Buticchi, Rivera e Duina, capisce che il suo futuro da allenatore è altrove, lontano dal Milan.
Un po’ a sorpresa (vista la giovane età) lo ingaggia la Juventus, e da qui comincerà una carriera che non ha precedenti.
Allenando nell’ordine la Juventus, l’Inter, il Bayern Monaco, il Benfica, ed il Salisburgo (oltre alla Fiorentina, al Cagliari ed allo Stoccarda), Giovanni Trapattoni diventa l'unico allenatore nel mondo, insieme all'austriaco Ernst Happel ad aver vinto almeno un campionato nazionale in quattro paesi diversi (un totale di 10 titoli nazionali in Italia,Germania, Portogallo ed Austria), e, attualmente, il quarto allenatore al mondo, secondo in Europa, col maggior numero di trofei internazionali a livello di club vinti (7 trofei su 8 finali).
Insieme al tedesco Udo Lattek è l'unico allenatore ad avere vinto le tre principali manifestazioni UEFA per club, è l'unico allenatore ad avere vinto (con la Juventus) tutte le competizioni UEFA per club, ed infine è l’allenatore ad aver vinto il maggior numero di volte la Coppa Uefa (tre i successi).
Il più grande rimpianto del tecnico lombardo è rappresentato dalla sua avventura alla guida della Nazionale italiana: la delusione del Mondiale coreano e quella degli Europei in Portogallo ha finito per offuscare un po’ la sua immagine tra i tifosi italiani.
Non esiste, tuttavia, appassionato di calcio di qualsiasi angolo del mondo che non conosca Giovanni Trapattoni, per le vittorie, per la determinazione con cui insegue i suoi obiettivi fino alla fine (del resto il detto “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco” l’ha inventato lui) e per la simpatia: c’è qualcuno che almeno una volta non abbia visto la sua strepitosa conferenza stampa del 10 Marzo 1998 a Monaco di Baviera?
Alcuni giocatori del Bayern, in particolare Mario Basler, Mehmet Sholl e Thomas Strunz criticano i suoi metodi e non si impegnano molto, ma non hanno ancora capito con chi hanno a che fare.
Durante la suddetta conferenza stampa, in un tedesco che è tutto un programma, li definisce vuoti come delle bottiglie ("Sind wie Flaschen leer!), ma soprattutto se la prende col povero Thomas: “Was erlaubt siche in Strunz?”, che tradotto significa “Come si permette uno Strunz?”.
Oltre a finire in un disco rap, quella frase gli attirò le simpatie di tutti, e ribadì ancora una volta che lui non si fa mettere i piedi in testa da nessuno, come quando giocava.
Inimitabile Trap!
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