Nonostante sia il quarto marcatore milanista di tutti i tempi, nonostante il suo nome sia legato ad alcuni dei trionfi più belli e prestigiosi della nostra storia, il rapporto di Josè Altafini con il Milan e coi suoi tifosi è sempre stato di amore ed odio.
Ciò è legato fondamentalmente sia al fatto che durante la sua esperienza milanista il sentimento è stato logorato da vicende burrascose che hanno visto protagonisti lui, alcuni dirigenti, tecnici e compagni, sia dal fatto che nel corso della sua lunghissima carriera non ha mai, almeno pubblicamente, rilasciato dichiarazioni d’amore nei confronti del Milan e dei suoi tifosi.
Altafini si è sempre “smarcato” da questa domanda con la stessa abilità con cui si liberava dei suoi marcatori, dichiarando “Ma, io in tutte e tre le squadre che ho giocato (Milan, Juventus e Napoli) sono stato come con una donna: quando l'hai amata, l'hai amata in quel momento e basta” puntualizzando che “Tutte mi hanno trattato bene: ho sempre avuto un ottimo rapporto con i tifosi; se ci sono state delle incomprensioni, forse è stata per colpa mia”, per certi versi confermando la leggenda che lo descriveva come un calciatore che badava esclusivamente ai propri interessi personali, ma evidenziando, allo stesso tempo, che lui era un professionista vero (fu forse il primo calciatore ad avere un procuratore), che non amava fare il ruffiano con nessuno, anche quando forse gli sarebbe convenuto.
Del resto il buon Josè di brasiliano non aveva proprio nulla, dimostrandosi un perfetto “italiano”, scaltro e furbo.
Quella stessa scaltrezza e furbizia che ha sempre dimostrato anche in campo, ed in particolare in area di rigore, e che lo ha fatto diventare uno dei bomber più prolifici di sempre del calcio italiano (con 216 reti in serie A è il quarto bomber di sempre alle spalle di Piola, Nordhal e Meazza).
Attaccante dal buon fisico, potente ma nello stesso tempo rapido e veloce, aveva delle ottime doti tecniche e di palleggiatore, ma soprattutto un grande, grandissimo, senso del gol.
Josè Altafini (nato a Piracicaba il 24 luglio 1938) arriva in Italia ed al Milan nel 1958, subito dopo aver conquistato con la nazionale brasiliana il titolo mondiale in Svezia (3 presenze e 2 gol). L’impatto col campionato italiano è devastante: con 28 reti realizzate (più 4 in Coppa Italia) trascina il Milan di Gipo Viani alla conquista del suo settimo scudetto.
Il ventenne brasiliano è allegro e spensierato, e grazie al suo carattere supera di slancio la famigerata “saudade”.
In campo si diverte moltissimo, ma dimostra una certa reticenza a “mettere la gamba” nei tackle, e così si becca dal suo Direttore Tecnico il soprannome di “coniglio”, un appellativo che non ha mai sopportato e che fece nascere le prime frizioni con Viani.
Più che un coniglio Altafini si dimostra un leone, e con una regolarità sconvolgente continua a timbrare il tabellino dei marcatori: 28 gol nella stagione 1959/60 e 26 in quella 1960/61.
Siamo nell’epoca degli oriundi, e grazie alle sue origini italiane (e ad un pacco di milioni) diventa italiano e viene convocato in Nazionale.
Purtroppo la sua esperienza in Nazionale non sarà fortunatissima: il disastro dei mondiali in Cile nel ’62 pone prematuramente fine alla sua avventura azzurra.
Josè rimpiangerà per sempre la sua scelta, in quanto gli impedì di vincere altri 2 titoli mondiali con la nazionale verde-oro.
Nell’estate del 1961 alla guida del Milan arriva Nereo Rocco.
Il cambio della guardia sulla panchina rossonera rappresenta una svolta nella carriera milanista di Josè.
Responsabilizzato dal nuovo allenatore, Altafini trascina a suon di gol (22) il Milan alla conquista dell’8° scudetto, e conquista per la prima volta il titolo di capocannoniere.
Ma questo è solo il preludio al suo trionfo più bello ed indimenticabile.
Dopo la conquista del titolo nazionale, il Milan ritorna in Coppa dei Campioni, e stavolta porterà il suo cammino fino in fondo.
I rossoneri, prima di arrivare in finale, superano nell’ordine l’Union Luxemburg, l’Ipswich Town , il Galatasaray ed il Dundee Utd, ed il suo fuoriclasse brasiliano mette insieme un bottino di ben 12 reti.
Ma non basta.
Nella sfida decisiva di Wembley, contro il Benfica di Eusebio, Josè si erge ad assoluto protagonista della manifestazione.
I rossoneri, sotto di un gol, nella ripresa ribaltano il risultato proprio con una memorabile doppietta di Altafini e portano per la prima volta in Italia il massimo trofeo continentale.
Grazie ai 14 gol complessivi realizzati, il “Mazzola” brasiliano stabilisce il record assoluto di reti realizzate da un giocatore in Coppa dei Campioni, primato a tutt’oggi ancora imbattuto.
Intanto in campionato per la prima volta Altafini non supera il tetto delle 20 reti (saranno “appena” 11).
La “fabbrica del gol” prosegue anche nella stagione successiva (19 in totale), ma stavolta il Milan resta a secco di trofei, anche a causa dello scippo della coppa Itercontinentale ad opera del Santos del suo amico Pelè (e soprattutto dell’arbitro brasiliano Brozzi).
Altafini è ormai l’idolo incontrastato del popolo rossonero, e proprio per questo cerca di monetizzare la sua privilegiata condizione.
Il presidente Felice Riva rinvia continuamente il rinnovo del contratto di Josè e le discussioni con Gipo Viani continuano. Stanco di questa situazione, all’inizio della stagione 1964/65 Altafini decide di restare in Brasile e si allena col Palmeiras, ma dopo qualche mese chiede di rientrare al Milan.
Gipo Viani non molla fino a quando il presidente (a febbraio) decide di accontentarlo e lo reintegra in rosa.
Nel frattempo, il Milan capolista, allenato da Liedholm, marcia come un treno e dopo 19 partite ha ben 7 punti di vantaggio sull’Inter.
Altafini ritorna dal Brasile a corto di preparazione e si presenta al pubblico di San Siro per la partita col Vicenza: i rossoneri perdono l’imbattibilità e da lì comincia un crollo senza fine che porterà i rossoneri a perdere quello scudetto ai danni dei cugini nerazzurri.
Altafini segna solo 3 gol in 12 partite, ma soprattutto quella circostanza porta alla definitiva rottura del rapporto tra il bomber brasiliano ed il club di via Turati.
Dopo 7 stagioni, 246 partite ufficiali e ben 161 reti, Altafini ed il Milan si separano definitivamente.
Per il nostro eroe, tuttavia, la vita calcistica alla perenne ricerca del “gollasso” continua, e prima col Napoli (7 stagioni) e poi con la Juventus (4 stagioni) si permette il lusso di segnare altri 96 gol nella massima serie e di conquistare altri due scudetti (entrambi con i bianconeri).
Gioca in serie A fino a 38 anni, segna sempre e non fa sconti a nessuno, neanche alle sue ex-squadre, come quella volta che all’ultima giornata del campionato ’73 segnò a Roma uno dei due gol che costarono la Stella al “suo” Milan, o come quella volta (campionato 1974/75) che segnò a pochi minuti dalla fine dello scontro diretto il gol del 2-1 che costò lo scudetto al “suo” Napoli, diventando per tutti “Josè core ‘ngrato”.
Avesse commentato lui queste prodezze, come fa oggi, avrebbe sicuramente urlato
“Incredibile amisci”!
(l'autore di Terza Pagina con Josè Altafini)
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