I tifosi meno giovani conservano nitido il ricordo di quella maglia gialla con sottili righe nere sulla manica che vola tra i pali della porta milanista, indossata da un agile “ragazzino” con una lunga chioma e dei folti baffi scuri.
Stiamo parlando di uno dei più grandi portieri italiani di sempre, e cioè di Enrico “Ricky” Albertosi.
Certo, il tifoso milanista non può dimenticare l’amaro epilogo della sua avventura in rossonero, ma non si può non sottolineare che Ricky Albertosi è stato un grande protagonista della nostra storia, un idolo autentico, una sicurezza.
Agile, reattivo, estroso, Albertosi ci ha sempre entusiasmato per il suo coraggio, il suo proverbiale colpo di reni, le sue doti di piazzamento e la sua spettacolarità.
Tutte queste caratteristiche lo rendevano praticamente l’opposto di quello che è stato per oltre quindici anni il suo grande rivale, Dino Zoff, collega con cui mise in scena una staffetta degna di quella tra Rivera e Mazzola, “nemici di sempre”.
Una carriera infinita quella di Ricky, cominciata nello Spezia a 19 anni (1958) e conclusa a 45 anni nelle fila dell’Elpidiense (1984), passando per la Fiorentina, il Cagliari, il Milan e, naturalmente, la Nazionale italiana.
E’ chiaro che in una “avventura” così lunga si siano alternati trionfi esaltanti e cadute rovinose, ma ciò che non mutò mai fu la stima in se stesso e la consapevolezza nei suoi mezzi: il suo credo era “Guai se un portiere si fa prendere dal dubbio di aver sbagliato. Un portiere non sbaglia mai, la colpa è sempre degli altri. Così non si abbatte”
Dopo l’apprendistato nello Spezia, la sua carriera ad alti livelli comincia nella sua toscana, a Firenze, dove per i primi anni si deve accontentare di fare il secondo a Giuliano Sarti.
Le sue doti sono però ben note, dal momento che Albertosi riesce nell’impresa (forse unica) di fare il suo esordio in nazionale senza neanche essere titolare nella sua squadra di club. Avviene il 15 giugno 1961 (Italia-Argentina 4-1), e da quel giorno l’azzurro lo vestirà per oltre un decennio.
Quando nel ’63 Sarti si trasferisce all’Inter, il ragazzo di Pontremoli diventa finalmente titolare in serie A, e comincia la sua lunga scalata verso il ristretto club dei portieri italiani più forti di tutti i tempi.
Coi viola disputa in totale 10 stagioni, conquista 2 Coppe Italia ed una Coppa delle Coppe, e nel frattempo è diventato il titolare fisso dell’Italia azzurra.
Nel ’62 è tra i convocati nella spedizione azzurra ai Mondiali in Cile, mentre in quelli inglesi del ’66 è il titolare che incassa lo storico gol del coreano Pak Doo Ik che ci rispedisce malamente a casa in quella che viene ricordata come una delle più grandi sorprese negative della storia del calcio italiano.
Scampato all’epurazione che ne seguì, ebbe la sfortuna di infortunarsi alla vigilia degli Europei del 1968 che segnarono il riscatto della Nazionale italiana, costretto a fare il secondo del rivale Zoff.
Proprio dopo quell’Europeo si trasferisce a Cagliari, e la stagione successiva (1969/70) riesce finalmente a coronare il sogno tricolore: grazie alle sue grandi parate ed ai gol di Gigi Riva, il Cagliari conquista il primo ed unico scudetto della sua storia.
L’apporto di Ricky è strepitoso, al punto che subisce solo 11 gol in tutto il campionato, di cui 1 su calcio di rigore e due su autogol dei suoi compagni Domenghini e Niccolai.
Sulla scia di quella fantastica stagione, Valcareggi lo designerà titolare indiscusso della Nazionale italiana che si reca in Messico per la fase finale dei Mondiali del ‘70.
Così come era diventato uno degli undici “coreani” che avevano fatto vergognare l’Italia calcistica nel ’66, allo stesso modo sarà ricordato come uno degli undici eroi della famosa semifinale Italia-Germania 4-3 dell’Atzeca.
Alla fine sarà una medaglia d’argento, alle spalle di uno stratosferico Brasile.
Nel 1974, dopo sei stagioni in terra sarda, il buon Ricky, a 35 anni, viene considerato un portiere ormai sul viale del tramonto, ma non per il Presidente milanista Buticchi che decide di acquistarlo in cambio di William Vecchi.
Sembra una follia, ed invece si rivelerà un grande acquisto.
Grazie ad un fisico ancora integro e ad un entusiasmo da ragazzino, comincia una nuova vita che lo farà diventare protagonista fino a 40 anni suonati.
Non sono anni semplici per il Milan (gli effetti del dopo Verona sono ancora presenti), ma nella difficoltà Ricky Albertosi diventa uno dei pochi baluardi a cui il tifoso milanista può aggrapparsi.
Dopo due stagioni avare di soddisfazioni, Albertosi è uno dei protagonisti che permette al malandato Milan di Marchioro (e poi Rocco) di evitare la retrocessione in B nella stagione 1976/77.
Grazie alle sue parate si evita il peggio, e grazie alle sue parate il Milan conquisterà, dopo la grande paura, la Coppa Italia battendo nella finale unica di San Siro l’Inter per 2-0.
Ma il bello deve ancora venire.
La sua carriera sta per arricchirsi del trionfo più bello, quello della attesissima Stella milanista.
Sarà lui il numero 1 della formazione di Nils Liedholm che sorprenderà tutti andando a conquistare il decimo scudetto, sarà lui il Grande Vecchio che con le sue urla ed il suo carisma guiderà la linea difensiva rossonera composta dai giovanissimi Baresi e Collovati.
Ricky è una sicurezza, non mostra una sbavatura, e si permette il lusso di neutralizzare due calci di rigore nella fase più importante della stagione.
Siamo nel mese di marzo, ed alla 20ma giornata il Milan capolista è di scena a Firenze.
I rossoneri portano a casa una vittoria fondamentale per 3-2, ed Albertosi devia sul palo il rigore calciato da Antognoni.
Due domeniche dopo altro capolavoro.
Stavolta è in scena il derby con l‘Inter.
Il Milan sotto di due gol riesce nel finale a rimontare grazie ad una doppietta di De Vecchi, ma non sarebbe stato in grado di evitare la sconfitta se il suo portierone non avesse parato un rigore a Spillo Altobelli. Ricordo ancora immutata la scena di quella casacca gialla sommersa dagli abbracci dei suoi compagni dopo la prodezza.
Alla fine di quella stagione, memorabile per la storia rossonera, gli addetti ai lavori lo considerarono tra i migliori del Milan.
Si può dire che lì, purtroppo, si concluse la bella favola rossonera di Ricky Albertosi, perché la stagione successiva (1979/80) segnerà il crollo di un mito.
Dopo aver causato l’eliminazione del Milan dalla Coppa dei Campioni contro il Porto a causa di una papera clamorosa, Albertosi rimase coinvolto nello scandalo del calcio scommesse che decretò, a fine stagione, la retrocessione dei rossoneri in B per la prima volta nella storia.
Il suo arresto e la sua detenzione a Regina Coeli macchiarono indelebilmente l’immagine di una carriera che era stata strepitosa.
Ci volle qualche anno per noi tifosi per sbollire la rabbia di quello che era successo, e forse qualcuno non glielo ha mai perdonato, ma quando oggi qualcuno fa il nome di Ricky Albertosi, il primo pensiero che ti viene in mente è quello del nostro grande portiere dalle movenze feline che col suo coraggio e con la sua m
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