Giussano è una piccola città della Brianza che dista poco più di 20 Km da Milano, città piccola ma in grado di ritagliarsi una parte importante nella storia per aver dato i natali a due illustri personaggi: uno è il condottiero lombardo Alberto da Giussano, che, secondo la leggenda, nel XII secolo si battè per cacciare Federico Barbarossa dai territori del settentrione italiano, l’altro è un po’ meno famoso ma a suo modo altrettanto importante, e cioè Aldo Boffi, il cannoniere che ha legato il suo nome alla storia del calcio italiano in generale e del Milan in particolare.
Il salto all’indietro nel tempo per questa puntata di Terza Pagina è significativo, ma è del tutto doveroso per accendere i riflettori su un calciatore che occupa un posto importante nella nostra storia e che addirittura detiene un record che a tutt’oggi è ancora imbattuto: Aldo Boffi è il quinto marcatore della storia del Milan di tutti i tempi (ed è, quindi, uno dei nove calciatori ad aver superato la soglia dei 100 gol rossoneri) ed è l’unico giocatore milanista ad aver segnato 14 reti consecutive (record ancora imbattuto).
A dimostrazione della sua prolificità, il nostro si è fregiato del titolo di capocannoniere del campionato di serie A per tre volte, e lo è stato anche per una volta della Coppa Italia, del Campionato di serie B e di serie C (entrambe le volte col Seregno).
Più di lui con la maglia del Milan hanno segnato solo Nordhal (221), Shevchenko (175), Rivera (164) ed Altafini (161), ed è per questo che merita di essere conosciuto meglio.
E dire che tutti questi gol Boffi li ha messi a segno in anni in cui la caratura del Milan era abbastanza modesta, avendoci militato dal 1936 al 1945, all’interno di quella lunga ed interminabile parentesi di 41 anni di insuccessi che va 1907 al 1951.
Stando ai freddi numeri e mettendo insieme le due cose si direbbe che ci troviamo di fronte ad un fenomeno assoluto che faceva tutto da solo senza ricevere molto aiuto dai compagni, ma in realtà le cronache dell’epoca ce lo descrivono come un attaccante di razza che basava molto della sua forza sulle doti fisiche ed atletiche e su un gran tiro da fuori piuttosto che sulle qualità tecniche: non aveva, infatti, né la finezza di Meazza, né l’abilità di Piola, suoi spietati “concorrenti” dell’epoca.
Sembra che Boffi passasse la palla ai compagni solo al momento del calcio d’inizio, e che poi stazionasse negli ultimi venti metri del campo in attesa del pallone giusto da mettere in rete, prediligendo la stangata di sinistro dal limite dopo essersi liberato dell’avversario di turno.
La potenza del suo tiro era qualcosa di eccezionale, unita ad una precisione quasi millimetrica.
Proprio la forza delle sue conclusioni ci ha tramandato un aneddoto che lo ha accompagnato per tutta la sua vita.
Boffi gioca con il Seregno: "Campionato di Serie C 1935-36: a Casale contro i nero-stellati, calcio di punizione. Tira Boffi ed il portiere Ceresa si slancia per la parata. Agguanta la sfera, fa la presa e vola letteralmente in porta. Lui ed il pallone. Una cosa sbalorditiva!" (da "Il Calcio illustrato").
Ogni calcio di punizione dal limite o calcio di rigore era suo, e la percentuale di realizzazione elevatissima.
Ma quella delle palle inattive e del tiro da fuori era la sua specialità, non l’unico modo in cui Boffi faceva gol.
Molti furono le realizzazioni su azioni manovrata, anche se per onore della verità a manovrare erano gli altri, lui si limitava a raccoglierne i frutti.
Anche se la cosa non era poi così facile e scontata.
Boffi, infatti, era sottoposto alla stretta sorveglianza dei difensori che non andavano troppo per il sottile nella sua marcatura, ma il suo fisico ed il suo temperamento lo aiutavano molto.
Non era uno stinco di santo, e le botte le dava anche lui visto che il fisico glielo permetteva: ben piantato, spalle quadre, statura leggermente superiore alla media dei calciatori dell’epoca.
Il bomber di Giussano deve molto al lavoro dei compagni, ma le cronache dell’epoca sono tutte unanimi nel sottolineare che “..il Milano a lui deve moltissimo, e non sono poche le partite in cui il Milano deve a Boffi l’esito vittorioso!”.
L’unica pecca che gli veniva riconosciuta era la mediocrità nel gioco di testa, carenza di cui si rendeva conto e che lo portava ad usarla solo per necessità.
Il soprannome “bombardiere di Seregno” se lo guadagnò nei primi anni della sua carriera, dopo che dalle fila del Vis Nova (squadra della natia Giussano) venne acquistato nel 1934 dal Seregno, squadra che allora militava in serie B.
Dopo due stagioni ricche di gol, il presidente Umberto Trabattoni (che poi sarebbe diventato Presidente del Milan) lo cedette ai rossoneri per una cifra per l’epoca notevole (sembra per cinquemila lire).
All’arrivo in rossonero ebbe qualche problema di ambientamento e di concorrenza, dato che in attacco il Milan aveva anche Moretti, Gabardo, Capra e Zandali.
Sarà proprio l’infortunio di quest’ultimo a lanciarlo definitivamente.
Finirà la stagione segnando 8 reti in campionato (15 in totale), ma soprattutto fa vedere che il futuro è lui.
La stagione successiva, infatti, lo consacra definitivamente: grazie ai 16 gol realizzati (19 in totale) trascina il Milan ad un insperato quarto posto.
Ormai Aldo Boffi è uno dei migliori cannonieri italiani, ed il ruolino di marcia diventa impressionante.
Nelle quattro stagioni successive vincerà per ben tre volte la classifica dei marcatori, nonostante, come detto, il Milan non riesca mai a competere per la vittoria in campionato.
A partire dal 1941 gli vengono anche affiancati Peppino Meazza e Gino Cappello: malgrado l’attacco stratosferico, il Milan arriverà solo terzo.
Alla fine dell’avventura (durata 9 stagioni) saranno 136 i gol realizzati in 194 gare ufficiali, numeri che lo proiettano di diritto nei primissimi posti di tutte le graduatorie della società rossonera.
Dopo una brevissima parentesi all’Atalanta, chiude la sua carriera da dove era partita, e cioè dal Seregno, realizzando in cinque stagioni ben 57 reti.
Nonostante questo curriculum, Boffi non riuscì a diventare mai un protagonista della nostra nazionale; la concorrenza di Piola e Meazza, e le sue caratteristiche non gli permisero di fare parte di quella nazionale che proprio in quegli anni si fregiò due volte del titolo mondiale: il CT Vittorio Pozzo lo apprezzava molto, ma questo non fu sufficiente.
Lui non fece una piega, come quando segnava: niente braccia spalancate, niente sbaciucchiamenti, ma solo un lento rivoltarsi su se stesso, quasi sorpreso dalla frenesia dei compagni.
Compassato, a passi lunghi ritornava verso il centro.
Pronto a ricominciare a giocare.
Un grande
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