A volte i destini di una squadra di calcio possono dipendere da episodi imprevisti ed imprevedibili: un pallone che anziché andare in rete colpisce un palo, una decisione arbitrale “sfortunatamente” sbagliata in un momento decisivo, un autogol clamoroso, la prodezza di un giocatore da cui non te lo saresti mai aspettato ed altro ancora.
Addirittura può anche accadere che una squadra già forte diventi “imbattibile” (per molti la più forte di tutti i tempi) grazie al puntiglio di un allenatore che costringe il suo presidente ad accontentarlo, acquistando un calciatore per sostituirne un altro già comprato e che di quel presidente rappresenta “il cocco”.
Eh sì, è successo anche questo nel Milan; è successo che il Presidentissimo Berlusconi, colui che “fa le formazioni e poi le impone ai suoi allenatori”, colui che “ama circondarsi solo di yesman”, abbia ceduto alle insistenze del suo allenatore, Arrigo Sacchi, e gli abbia acquistato Frank Rijkaard al posto del calciatore che qualche anno prima lo aveva letteralmente stregato e che si era tolto lo sfizio di acquistare bruciando una concorrenza agguerrita, Claudio Daniel Borghi.
E’ l’8 dicembre 1985 e dall’altra parte del mondo (in Giappone) si disputa la finale di Coppa Intercontinentale tra la Juventus di Platini e gli argentini dell’Argentinos Juniors. La partita è bellissima ed emozionante (vincerà la Juve solo ai calci di rigore), e, nonostante la sconfitta, il grande protagonista sarà il giovane regista avanzato in maglia rossa che risponde al nome di Claudio Borghi detto “Bichi”: col pallone fa quello che vuole, fa letteralmente impazzire tutta la difesa juventina, manda in rete con grande classe i propri compagni, insomma un’autentica ”iradiddio”.
Michel Platini lo definisce “il Picasso del calcio”, e di lui si invaghisce anche l’Avvocato Gianni Agnelli.
Ma di questo giovanotto con la faccia da indio si innamora anche Silvio Berlusconi, colui che di lì a poco entrerà nel mondo del calcio acquistando il Milan.
Borghi da qualche anno è diventato la stellina dell’Argentinos Jrs, e viene considerato una grande promessa del calcio argentino, al punto che nel 1986 fa parte della spedizione della Seleccion che disputa (e vince) i mondiali in Messico. “Bichi” parteciperà solo a due gare di quel mondiale, ma tanto basta per fregiarsi del titolo di campione del Mondo.
Purtroppo per lui, le vicende che seguiranno, gli impediranno di proseguire la sua avventura in nazionale (solo 9 presenze ed 1 gol). Berlusconi lo porta a Milano nella primavera del 1987 e lo affida al tecnico Fabio Capello. Dopo la disputa di qualche amichevole infrasettimanale, il tecnico friulano lo ha a disposizione per il Mundialito per Club. Qualcuno gli fa la promessa “Se giochi bene il Mundialito rimani al Milan”, e lui non delude: gioca tutte e quattro le partite da titolare, segna un gol (contro il Porto) e viene nominato miglior giocatore del torneo.
Sembra tutto perfetto, ma c’è qualche problema.
Innanzitutto la panchina rossonera viene affidata ad Arrigo Sacchi, e poi il regolamento permette di schierare solo due stranieri, ed i due posti sono affidati ai due fortissimi olandesi, Van Basten e Gullit. Tuttavia, il Milan (per volontà del suo Presidente) non vuole privarsi di lui, e decide di darlo in prestito al Como, allenato prima da Agroppi e poi da Burnich.
L’esperienza sarà negativissima: l’argentino viene schierato solo 7 volte, e resta ai margini della squadra in quanto, secondo i suoi tecnici, non lavora per il collettivo.
Qualche anno dopo, a proposito della sua avventura comasca, Borghi dirà “Agroppi e Burnich erano l’anti-calcio. Ti dicevano solo quello che non dovevi fare in campo, mai quello che dovevi fare”.
Nonostante quella parentesi disastrosa, la stima di Berlusconi nei suoi confronti è immutata.
Intanto la Federcalcio decide che a partire dalla stagione 1987/88 gli stranieri tesserabili diventano tre, e questo gli schiude le porte del ritorno al Milan.
La squadra di Sacchi ha appena conquistato lo scudetto in grande rimonta sul Napoli di Maradona, e come premio si regala in maggio due amichevoli di lusso contro il Manchester United ed il Real Madrid per entrare in “clima europeo” in vista del prossimo ritorno in Coppa dei Campioni.
Borghi, ancora una volta, dimostra un talento innato ed una classe cristallina, e realizza il gol della vittoria sia all’Old Trafford (2-3 per il Milan) che a San Siro contro le Merengues (2-1 per noi). Nonostante ciò, il rapporto con Sacchi non decolla.
All’omino di Fusignano, maniaco degli schemi e della cultura del lavoro, non poteva andare a genio uno che durante un allenamento si permise di dirgli che era del tutto “inutile correre per 5 mila metri di fila, considerato che un campo da pallone è lungo appena cento metri”.
Sacchi ha costruito un bel Milan, ma ha intenzione di migliorarlo ancora, e per farlo vuole il centrocampista olandese dello Sporting Lisbona Frank Rijkaard, a completare un trio tutto Orange.
Nonostante la “preferenza” di Sua Emittenza, alla fine la spunta l’Arrigo.
Berlusconi acquista Rijkaard e, a malincuore, si convince che forse per il Milan è meglio così.
Finisce così l’esperienza milanista di Claudio Borghi, fatta di sole amichevoli (16 in tutto) e di nessuna presenza ufficiale.
A guardarla col senno di poi e considerando quello che il Milan ha fatto con Rijkaard in squadra, si può dire che per noi è stata una fortuna che la storia sia andata in questo modo, e che da “un acquisto sbagliato” sia nata una delle squadre più “vincenti” di sempre.
Forse Borghi avrà pensato spesso a “quello che sarebbe potuto essere e non è stato”, ma con molta serenità, molti anni dopo, ha anche ammesso “Siamo sicuri che con Borghi il Milan avrebbe vinto tutto quello che ha vinto senza?”.
A distanza di tempo deve essergli servita anche l’esperienza fatta con il tecnico che allora detestava (Arrigo Sacchi), visto che oggi Claudio Daniel Borghi è uno degli allenatori più apprezzati e vincenti del Sudamerica (oggi allena il “suo” Argentinos Jrs, e nel 2006 è stato premiato come miglior Allenatore del Sudamerica).
Insomma, un genio al servizio dei più giovani
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