Se il tecnico conta...
Scritto da Gianpiero Sabato   
Giovedì 07 Ottobre 2010

L’argomento ha sempre generato delle grandi discussioni nella letteratura pallonara, e come molte altre questioni, naturalmente anche questa è irrisolta: qual è il peso di un allenatore in una squadra di calcio?
C’è chi dice che la sua incidenza non supera il 30%, chi invece dice che non conta nulla, ed addirittura chi pensa (e forse non sbaglia) che in una squadra l’allenatore non conta quasi nulla ma è in grado di fare dei danni.
Chiaramente, qui nessuno ha intenzione di dare una risposta (ci mancherebbe altro), ma qualche considerazione sul lavoro di Max Allegri col Milan vogliamo farla.

E’ evidente che l’assist ce lo fornisce l’ultima partita di Parma ed in particolare la posizione ricoperta nel match da Ronaldinho.
La cosa più evidente in questo inizio di stagione è il fatto che il mister sembra avere pienamente in mano la squadra e la situazione.
E qui non mi riferisco alla presunta “impronta” o “mano” di Allegri a livello di gioco, quanto alla sua capacità di chiedere alla squadra delle cose che poi vengono messe in pratica.

La sensazione è che siamo assolutamente in regime di “lavori in corso”, ma la squadra mostra segnali continui di miglioramento, e soprattutto lo fa passando attraverso situazioni diverse.
C’è una differenza sostanziale tra il Milan del trittico Cesena-Auxerre-Catania (squilibrato e che presta il fianco ad ogni ripartenza avversaria) e quello di Roma con la Lazio e della gara col Genoa.
Niente di spettacolare intendiamoci, anzi, al contrario, Allegri capisce che in quelle due gare c’era bisogno innanzitutto di privilegiare l’equilibrio e la solidità, ed il fatto che la squadra risponda positivamente a questa richiesta è stato un bel segnale.
Che poi la fase offensiva fosse affidata quasi esclusivamente alle “genialate” di Ibrahimovic  questo era abbastanza evidente.
Ma tra queste due gare e quelle di Amsterdam e Parma c’è un ulteriore progresso.

A progredire, ottenuta una squadra che sta meglio in campo, è la fase offensiva, e lo si ottiene attraverso soluzioni diverse: con un 4-4-2 ad Amsterdam, e comunque con Seedorf ad ispirare il duo Ibra-Robinho, e con un 4-3-1-2 a Parma, con il rispolvero del primo “rombo ancelottiano” con la sorpresa Ronaldinho trequartista.
Al di là di tutte le sfaccettature  tecnico-tattiche, la cosa che è da sottolineare è la duttilità del modulo e la disponibilità dei giocatori ad applicarli.
Anche questo è un aspetto da sottolineare: non c’è dichiarazione di un calciatore milanista che non tessa le lodi del tecnico livornese e ne esalti il lavoro e le capacità relazionali.
Ed è da sottolineare che tutto ciò non è certo avvenuto in un momento in cui tutto va bene in un clima da “volemose bene”.

Diciamo la verità, non erano in pochi a pronosticare che il buon Allegri non sarebbe stato in grado di gestire uno spogliatoio fatto di molti campioni (Cellino in primis, ma questo non conta!).
La duttilità, tra le altre cose, è l’elemento di grande progresso rispetto alla precedente gestione di Leonardo.
Schierare la squadra sempre nello stesso modo anche adottando giocatori completamente fuori ruolo è un limite gigantesco per un tecnico, e Leonardo questo limite ce l’aveva (alcune esternazioni presidenziali in proposito non sono affatto campate per aria); la costante ricerca da parte di Allegri di soluzioni alternative in questo senso è una grazia di Dio.

Se l’esperimento di Dinho da vertice avanzato del rombo durerà non lo so, ma vederlo correre e giocare con la faccia di chi si stava divertendo un mondo è stato bello.
E se il Gaucho si convincesse che può ricoprire quel ruolo e che oltre a divertirsi può essere utile alla squadra, allora forse avremmo trovato la quadratura del cerchio.
L’impressione è che con il ritorno di Pato ed il Ronaldinho in quella posizione, il tridente  con Ibra potrebbe completarsi in modo devastante. Comunque sia, torno a ripetere, la cosa confortante è avere sempre pronto un piano B e, se possibile, uno C.

Insomma, fiducia totale nel nostro allenatore.
Per tornare a creare un Milan vincente lui è l’uomo giusto, perché oltre alle capacità tecniche, tattiche e relazionali, il nostro mister ha una peculiarità a mio avviso decisiva: in questa fase storica il non essere “un milanista alla guida del Milan ” è solo un bene.
Il Milan ha bisogno di una vera svolta, e se a condurla è qualcuno che parla una lingua diversa da quella che abbiamo sentito per anni forse è meglio per tutti

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