Norman Zarcone
La libertà di pensare è anche la libertà di morire. Mi attende una nuova scoperta anche se non potrò commentarla
Sono le ultime parole che ha scritto Norman Zarcone, laureato in filosofia con 110 e lode.

Stava per finire il terzo anno di dottorato, e siccome non aveva la borsa di studio si arrangiava a tirar su qualche soldo lavorando come bagnino.
Era fidanzato, voleva sistemarsi, ma come molti altri prima di lui si era già sentito dire che per “il dopo” non c’erano prospettive.

Si è tolto la vita per l’insopportabile peso di “non avere futuro”.
Senza prospettiva.
Nella condizione dell’eterno esame riservato a chi non ha lafortuna di averli già vinti.
Dopo un’estate passata a piantare ombrelloni nelle spiagge per venticinque euro al giorno.

Chissà cos’ha pensato, ogni giorno.
Quanti giorni a venticinque euro ci vogliono per farsi una casa, una famiglia o forse solo, l’estate prossima, un bel viaggio in due, con la ragazza?
Il tempo di accorgersi, un giorno, che ci sono stati negati anche i tempi biologici.

Norman, come tutti noi, faceva parte di una generazione alla quale è stata venduta in astratto la flessibilità del mercato del lavoro come una grande opportunità per dimostrare le proprie capacità.
Lui ha capito tragicamente che alla fine di quel triennio si chiudeva una porta e non si apriva più niente, che quella condizione alla quale i nostri tempi lo avevano costretto non era passeggera, che avrebbe potuto continuare ad accumulare competenze ma che questo non gli sarebbe servito a conquistarsi la possibilità di essere padrone della sua vita.
Ha capito tutto questo, non ha fatto niente per nasconderselo e si è sentito perso.

Il gesto di Norman ci ha parlato di questi tempi bui molto meglio di quanto possano farlo migliaia di libri, inchieste giornalistiche e talk show.
Lo ha fatto in una maniera inequivocabile.
Norman ha esercitato il suo diritto alla vita

Il tema è questa vita: la vita nell’Italia di oggi dei giovani a un cornicione.
La vita offesa dei giovani che si buttano giù o che stanno lì per sempre, immobili e in bilico, precari sull’orlo, precaria la vita
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